Arti Marziali di Paolo Beltrami

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Paolo ha vissuto in Giappone 🇯🇵 ed ha frequentato un'antica scuola di arti marziali, apprendendo le Arti del Ninpō (Ninjutsu)

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Segue una lettura 📖 sul suo cammino.





C'è stato un periodo nel Giappone medievale dove tutti erano diventati artisti, un periodo che collimava con le grandi guerre tra Samurai e Ninja "che poi erano come sempre fratelli di sangue". Un periodo di pace che ha mostrato quanto l'essere umano può generare arte allo stato puro anche con le conoscenze di contingenza. Quindi se quella linea temporale è stata possibile sono convinto che anche nell'oggi sia possibile essere arte. E' proprio una questione di espressione animica.
L'arte è l'espressione che abitualmente non si fa vedere in uno strato sociale consueto. L'arte manifestata dai popoli è una forma di comunicazione "oltre" la normale divulgazione e non può essere celata da inganni ed artefatti.
Quindi basta guardare l'arte dei popoli per capire la loro vera Essenza animica.
Lì comprendi che effettivamente vogliamo la stessa cosa "Esprimerci"
Osservare l'arte espressa per il profano 
😊 guardare quel binario alternativo che si mostra palesemente alla vista degli occhi.

Un esempio in questo video

'Footloose' - Dancing In The Movies




 SHIN RYU E KO JIN NO MICHI
 Cos’e’ una Shin Ryu? E’ una Scuola toccata dallo Shin, nell’accezione di “Nuova” ma anche nell’accezione di “Spirito” , in quanto perde le caratteristiche di una Scuola antica con i suoi Makimono ed i suoi Densho, ma acquista “un ottava” compiendo una sorta di Salto Quantico, acquistando caratteristiche nuove e di grande valore iniziatico, il Deshi, al pari della Scuola, viene elevato a livello di “Iniziato che percorre la Via Sacra del Nin, attraverso la pratica del Sacrificio della perdita del proprio egocentrismo terreno e con l’ausilio del Ninja Seishin Teki KyoHo (Tecniche di Raffinamento Spirituale attinte non solo dagli antichi precetti Ninja, ma per completezza, da tutti quei precetti che si rendono utili per la crescita ed il positivo modificarsi del Deshi). Per questo motivo definisco la Shin Ryu come Ko Jin no Michi (Via Mistica dell’Uomo Ancestrale) la cui applicazione costante nella Vita Marziale e quotidiana ci migliora e ci eleva. Qual e’ il significato della nostra Scuola?
E’ una domanda spesso trascurata, che nasconde una miriade di concetti e significati profondi. Potremmo anche usare un’altra parola, come metodo ad esempio, infatti, nell’ambito delle Arti marziali entrambe vengono spesso usate per delineare medesimi concetti. Il significato della parola scuola pero’, e’ ben piu’ complesso del significato della parola metodo. Il metodo rappresenta l’insieme delle scelte didattiche che vanno a costruire il percorso di costruzione marziale del praticante. Il valore scuola e’ ben oltre, racchiude la vera identita’ di un percorso formativo, i veri “perche’ ” che si celano dietro al gesto tecnico; e’ la scuola che definisce le peculiarita’ della pratica; e’ la scuola che si avvale del metodo (didattico appunto) per realizzare nei fatti il percorso di formazione precedentemente citato.
Il secondo punto e’ invece molto piu’ semplice: l’insegnante (il responsabile della didattica) deve poter avere a disposizione in qualunque momento degli strumenti anche verbali per poter strutturare la lezione; di qui la necessita’ di immediatezza concettuale del termine (qualunque esso sia). Ma perche’ queste considerazioni? Per un fine di responsabilizzazione di insegnanti e studenti. I primi devono in qualunque momento poter identificare e distinguere le peculiarita’ della scuola di appartenenza, non solo per coerenza didattica, ma anche per poter avere sempre la possibilita’ di gestire la preparazione dell’allievo. I secondi devono conoscere l’esistenza di una traccia che durava tempo addietro e che durera’ nel futuro, grazie proprio a loro. Tutti i concetti a carattere tecnico (Kuden) che vengono tramandati oralmente durante le lezioni e l’adesione sia in termini di studio, sia in termine di pratica al Seishin Teki Kyoho, creano il carattere della Scuola per far si da poter davvero identificare e conoscere l’identita’ di appartenenza ed il senso di appartenenza ad un sistema che non e’ uno sterile insegnamento di tecniche fine a se stesse, ma il Kokoro della Scuola stessa.

NINPō: LA PRATICA
La differenza di questa disciplina dalle altre Arti Marziali è data da diversi fattori: lo scopo, l’intento, l’approccio, gli obiettivi. Essendo un insieme di varie discipline marziali tese all’autodifesa, all’attacco ed a forme antesignane di guerriglia (per farla breve, anche perché se per la categoria dei Samurai le discipline da conoscere erano diciotto, per il Ninja si parlava di trentasei) possiamo affermare con una certa sicurezza che si differenzia sostanzialmente da tutte quelle discipline di combattimento moderno che si basano sul punteggio e sulla gara fine a se stessa, può esistere un confronto con altre discipline  differenti, ma solamente a scopo didattico e formativo, lo scopo infatti è trasformare se stessi in un perfetto strumento di azione. Questo è possibile grazie agli addestramenti psicofisici a cui ci si addestra dove la mente che fa muovere il corpo. La similitudine allo stato di “battleproofing” (stato psicofisico dell’operatore che è a prova di battaglia) dei vari gruppi militari speciali è evidente, ma eliminando quel fattore di tensione verso lo squilibrio mentale a cui molti agenti speciali sono sottoposti, (infatti sappiamo che quando dall’equilibrio omeostatico di base passiamo allo stato ergotropico perdurandoci nel tempo rischiamo diversi disordini di carattere ossessivo-compulsivo).

Naturalmente questa è la differenza che esiste tra il  NinPō ed il Ninjutsu, che si limita ad una definizione e pratica delle tecniche marziali del Ninja (ad esempio lo Shuriken Jutsu veniva praticato anche dal Samurai, e pure l’utilizzo di Metsubushi e Tetsubishi).

E’ l’Onmyodō o Onmyogogyō, che per una sorta di sincretismo con le altre forme filosofiche diventa Shingon che crea il substrato religioso e psicologico cui il Ninja attinge per completarsi psicofisicamente, e che gli dona quella sorta di morale (Ninja seishin) simile al Bushidō del Samurai e che sicuramente (e non solo per necessità) segue con perseveranza.

Gli intenti sono di assicurare un perfetto stato di simbiosi tra mente e corpo (pensate tanto per dire una ovvietà quanto sia difficile per un mancino eseguire una tecnica dalla parte destra!), per poterne usufruire nel quotidiano come uno strumento utile a qualsiasi scopo, dall’autodifesa (oggigiorno purtroppo diventa sempre più necessario sapersi difendere), a tutte quelle occasioni in cui serve un corpo allenato, flessibile ma potente allo stesso tempo, (è utilissimo anche come approccio a qualsiasi tipo di sport), ma anche maturare un equilibrio mentale, tanto difficile da trovare nella frenesia del mondo odierno.
Naturalmente, a differenza di qualsiasi tipo di sport, l’approccio è importantissimo… e diventa anche chiaro il perché il NinPō è una pratica di nicchia nel mondo marziale…
Infatti la serietà deve contraddistinguere il praticante che non è più uno sportivo nel senso stretto del termine, ma diviene un cultore ed uno studioso che ricerca la perfezione della tecnica ed attraverso essa trasmuta se stesso e la propria mente. Mushin (non mente, non pensiero) è lo stato primordiale dell’uomo che caccia la preda, Zanshin (estrema attenzione e concentrazione del “Qui e ora” è quella condizione in cui la mente diviene tutt’uno con l’ambiente circostante e registra qualsiasi variazione nello stato delle cose, Kizen (sfruttare il momento giusto o “timing”), caratteristiche che accomunano l’adepto con i fenomeni naturali, che trasformano il movimento che diverrà elastico come il ramo che si libera improvvisamente del peso della neve, impetuoso ma imprevedibile e mutevole come un torrente gelido di montagna (nagashi), fulmineo come un temporale estivo, e la sua mente rimarrà imperturbabile alla tensione emotiva del conflitto ed adamantina nella sua purezza d’intenti.
Le letture non sono futili e superficiali, ma testi di strategia, antichi metodi di combattimento e di filosofia dell’azione del corpo e della mente.
Che senso avrà mai dimenticarsi di una tecnica una volta appresa e praticata dieci, cento, mille volte con sudore, lividi e sangue? Takuan Soho, nel suo libro Fudōchishinmyōrokū (Il Libro sacro della Saggezza Immutabile) ed il suo amico e seguace Yagyū Munenori della Yagyū shinkage (che scrisse a sua volta il libro HeiHō Kadensho), primo soke di Muto jutsu (tecniche di non spada o metodi per disarmare un avversario munito di spada a mani nude), figlio di Sekishusai e appartenente alla famiglia Okuhara (potente clan Ninja della zona di Iga) afferma che è lo stato di Mushin (non mente) che porta alla pratica di Mu Jutsu (senza tecnica) ovvero alla vera e propria “costruzione” di tecniche efficaci ma che ormai non appartengono a nessuna scuola che non sia la mente “altra” di colui che le porta.
Tecniche inventate! Direbbe il profano… Tecniche divine! Direbbe un intenditore superficiale… Tecniche dell’Uomo direbbe il saggio…
Ovvero appartenenti a quel retaggio mentale ormai elevato che sorpassa il mondo della normale quotidianità per arrivare alla consapevolezza facendo muovere il praticante al pari delle stagioni, del sole che tramonta o della luna che sorge…
Questo è ciò che fa lo studente di NinPō quando arriva ad un buon livello di espressione tecnica, e questo deve essere l’approccio mentale di colui che si avvicina con umiltà a questo studio intensivo alla ricerca di se stessi. L’obiettivo per cui non diventa essere il più bravo di tutti, ma più bravo di se stesso e travalicare i propri limiti prima mentali e poi fisici. (FINE).

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